Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto.
L’improvviso divampare della pandemia di coronavirus ha mostrato tutta la fragilità e la vulnerabilità dei nostri corpi. Per difenderci abbiamo potuto solo evitare il contatto con questo predatore di vita che è il virus. Una sorta di vampiro che debilita i nostri organismi, a volte fino a distruggerli. I corpi, quelli deboli e malati come quelli giovani e fiorenti, sono possibili ricettacoli di malattia. Non possiamo più abbracciarci e baciarci, e neppure possiamo vedere più il volto dell’altro, questo luogo privilegiato dell’incontro tra le persone ora nascosto dalle mascherine. Solo gli occhi rimangono per comunicare in profondità. Che ne è della possibilità di esprimere l’amore e il sesso?
Come ci ricorda Pasolini, nel suo Pianto della scavatrice, è nel qui ed ora che si manifesta la tensione dell’amare e del conoscere l’altro, che è insieme relazione e sesso (il cosiddetto “conoscere in senso biblico”). Come si può vivere l’esperienza sessuale quando il contatto con l’altro è fonte di rischio? Il problema non si pone per chi la vive in una coppia consolidata e convivente. Al più, un parziale ostacolo ai ‘convegni amorosi’ è venuto, nelle coppie con prole, dalla presenza costante dei figli in casa. I quali spesso, se più grandicelli, hanno rinviato, anche di molto, gli orari di andata a letto, costringendo i genitori a stare in intimità carichi della stanchezza della giornata e ad orari poco compatibili col risveglio mattutino, oppure a rinunciarvi.
Penso invece a quelle coppie, soprattutto le più giovani, non ancora conviventi. Ai tanti ragazzi e ragazze che sono all’inizio della loro esperienza amorosa. A chi vive a qualche distanza dal partner e si è trovato impossibilitato a raggiungerlo a causa del lockdown.
Penso ancora di più a chi vive la propria sessualità fuori dall’esperienza di una coppia stabile. A chi affida le possibilità di un incontro erotico alle app (Tinder o Grindr che siano) o ai siti di incontri. Oppure a chi ha incontri, in modo più o meno occasionale, a pagamento.
Tutti costoro hanno ricevuto moltissimi utili consigli di igiene e profilassi, su internet e sui giornali. Ma poche occasioni per esprimersi ed essere ascoltati nelle loro fatiche. Come se l’incontro, anche quello puramente sessuale (se mai esiste una situazione di questo tipo), potesse essere tranquillamente sacrificato in nome di un autocontrollo e di una sanificazione che celano un atteggiamento moralistico poco umano. In fondo, cova nascosto nelle menti il pensiero che la rinuncia alla dimensione fisica dell’amore, soprattutto se faticosa, significhi sempre il raggiungimento di una modalità migliore e superiore di vivere la relazione con se stessi e con gli altri. Una ascesi non desiderata, ma comunque sempre altamente considerata.
Anche adesso che il lockdown è attenuato e non occorrono più giustificazioni per i nostri movimenti, il desiderio per il contatto fisico stretto, per l’abbraccio, il bacio e tutti gli altri gesti dell’erotismo, viene associato invariabilmente al rischio del contagio. Non si può fare sesso con la mascherina e i guanti. Anche il sincerarsi del rigore con cui il partner è rimasto a casa durante il lockdown e ha applicato le norme di igiene dopo il suo allentamento diventa comunque un gesto carico di sospetto, specie se non si ha una relazione affettiva intensa e stabilizzata, e dunque più sincera.
Così accade che un momento tra i più unitivi delle relazioni umane si veli di sospetto, impedendo di abbandonarsi ad esso in nome della cautela e della paura. Mai come oggi l’Altro si caratterizza per la sua duplicità: è il mio desiderio, ma è contemporaneamente (con le parole di Sartre) il mio inferno.
Le soluzioni proposte e attuate sono palliative: la masturbazione (anche nella sua variante in presenza ma con “distanziamento sociale”); lo scambio online di gesti sessuali tra partner attraverso videochiamata o Skype; la frequentazione dei siti porno, che hanno incrementato di molto gli accessi durante la quarantena, grazie anche alla gratuità di alcuni servizi. Modi utili per allentare la tensione, ma che possono lasciare un senso di vuoto e di incompletezza. Anzi, di sgomento.
E’ uno stato mentale, questo, che nasce dall’assenza: è la situazione in cui
“alcuni elementi materiali e concreti, come l’assenza pratica dell’altro, fanno alla fin fine emergere la mancanza che si trova nel desiderio, che fa il desiderio. L’assenza, in fondo, non fa che mettere in scena questa mancanza del desiderio”.
(R.Barthes, intervista del 1977 riportata in “Frammenti di un discorso amoroso”, Torino, Einaudi, 2014, p.247)
L’assenza fisica del partner svela totalmente quella mancanza che si vuole colmare attraverso il desiderio (si desidera ciò che non abbiamo, ciò che ci manca) e la sua realizzazione, e questo rende così angosciosa l’assenza e così insoddisfacenti i modi per aggirarla. Questa dinamica non appartiene solo alla vicenda amorosa, ma anche a quella esclusivamente sessuale. Perché il sesso non è mai “puro”: non è mai il sorgivo dispiegarsi di una pulsione, un desiderio istintivo, una tensione che reclama il suo azzeramento tramite una soddisfazione fisica. È sempre ricerca dell’altro, e ricerca di sé. Non è ricerca del piacere, ma ricerca dell’altro attraverso il piacere. E nel piacere esprimiamo noi stessi nel modo più profondo e simbolico. Una sorta di espressione creativa della nostra mente nel momento della nudità, che è fisica ed è mentale. Dove noi possiamo esprimere i nostri bisogni attraverso i nostri desideri.
Eppure…
Eppure è dall’assenza che nasce il pensiero. Nasce il simbolo, un oggetto mentale che rappresenta qualcos’altro, e la sua manipolazione. Nella mancanza, si forma dentro di noi l’immagine dell’altro, del quale possiamo immaginare ogni sorta di predicato possibile. E perché tutto questo fervore mentale non resti pura illusione, occorre il linguaggio: per comunicare all’altro ciò che in noi sentiamo ed abbiamo elaborato. Ci vogliono due persone per pensare: una presente e una assente, ma voluta come un essere buono e desiderabile, che ci può dare ciò di cui abbiamo bisogno. Calore, tenerezza, passione e forza. Ospitalità e contraccambio. Quando la persona è assente, occorre fare uno sforzo di creatività. Ancora Barthes:
“All’assente io faccio continuamente il discorso della sua assenza; situazione che è tutto sommato strana; l’altro è assente come referente e presente come allocutore… tu te ne sei andato (della qual cosa soffro), tu sei qui (giacché mi rivolgo a te). Io so allora che cos’è il presente, questo tempo difficile: un pezzo di angoscia pura. L’assenza si protrae e bisogna che io la sopporti.”
(pag.35)
Allora l’assenza, il desiderio insoddisfatto può essere condiviso con il partner. Può essere comunicato con le parole, e non più con i gesti. E può offrire l’occasione per capire in due che cosa si vuole dire attraverso i gesti del sesso impedito dalla distanza o dalla paura del contagio. Si può parlare del corpo, delle preferenze erotiche, dei giochi, che non sono incremento quantitativo del piacere, ma miglioramento qualitativo. Perché rendono più attenti e sensibili a quello che l‘Altro dice attraverso i gesti: più delicati e teneri, o più intensi e passionali. Gesti compiuti, possedendo il partner, e gesti subiti, abbandonandosi passivamente all’iniziativa dell’Altro. Ricerca di odori e di sensazioni tattili. L’assenza può permettere di pensare meglio l’incontro erotico, di capirne i moventi, di svelarne i contenuti simbolici. E forse, questa ricerca può offrire emozioni e pensieri vivi, potenti come un orgasmo.
Basta questo a sedare il desiderio sessuale? Non lo so. Tuttavia può dargli profondità e rinnovarne le forme, in vista di quando potrà avvenire di nuovo l’incontro libero.
One Reply to “Vivere la sessualità al tempo del Covid”
Bello e interessante! Anche nelle coppie stabili la paura è molta..di chi lavora, di poter essere un asintomatico, di poter infettare chi ami…la paura è viscida e serpeggia nella mente e nel cuore senza che ce ne si accorga.